30 Gen Gli effetti psicologici del Covid-19. Parola ad Erika Graci
Il 2020, anno delle grandi aspettative per molti, ha esordito con uno degli effetti a sorpresa più imprevedibili per qualunque italiano, sia esso psicologo, medico, imprenditore, studente, commesso, ansioso, sportivo e chi più ne ha più ne metta. La condizione d’impreparazione e di precarietà degli eventi può essere considerata uno dei più usuali trigger che possono elicitare le difficoltà psicologiche normalmente silenti nella vita di tutti i giorni, ma pronte all’agguato ai tempi del Covid-19.
A distanza di più di un mese, infatti, nonostante l’esiguità dell’attenzione rivolta al benessere psicologico di chi, a diverso titolo, sta patendo la pandemia, la categoria degli psicologi e degli psicoterapeuti si sta mobilitando autonomamente per far fronte alla potenziale impennata delle richieste di aiuto, nella consapevolezza che tra i soggetti che prevedibilmente potrebbero averne più bisogno si annovereranno soprattutto coloro i quali stanno vivendo una crescita esponenziale delle difficoltà economiche.
Così, mentre le resistenze verso la psicologia stanno cominciando a crollare, il collasso finanziario individuale ne potrebbe rallentare la diffusione applicativa, a danno maggiore per chi è esposto a lutti, al rischio di burnout (personale medico e sanitario, cassiere, camionisti, farmacisti, tabaccai, benzinai, Forze Armate, dell’Ordine e di Polizia), a una condizione di povertà (liberi professionisti, esercenti, imprenditori turistici), a procrastinazioni significative da gestire (annullamento di celebrazioni matrimoniali, corsi pre-parto, esami di patenti di guida, traslochi abitativi, apertura di esercizi commerciali, ecc.).
Oltre ai fattori esterni, però, anche le peculiarità individuali possono “esplodere” se messe a dura prova. Rimanere forzatamente a casa e subire, così, una drastica riduzione della libertà di movimento ci costringe, per esempio, a entrare in contatto coatto con le nostre debolezze, quelle da cui abbiamo imparato a “tutelarci” quando il Corona Virus era un nemico sconosciuto. Proviamo a fare una breve panoramica di quello che sta accadendo a livello psicologico.
Pensiamo a chi è abituato a tenere tutto sotto controllo per una esigenza più umanamente personale che funzionale. Come vive costretto a restare a casa, in trepidante attesa del decreto di turno? Cosa prova chi è abituato a essere esclusivamente padrone del proprio tempo e responsabile delle proprie azioni, di fronte all’impotenza suscitata dalle scelte politiche altrui, alla pericolosità di un virus straniero e alla scoperta della vulnerabilità della propria vita? Ebbene, questa fetta di popolazione sta rischiando di sviluppare sentimenti svalutanti sempre più acuti, frustrazione, alterazioni psicosomatiche, disturbi del sonno, sintomi ansiosi o, peggio ancora, si sta avviando verso una graduale acquisizione di condotte maniacali con funzione adattiva (mettere in ordine rabbioso ogni angolo della casa, rinforzare l’ossessione per la pulizia, stabilire delle nuove routine rigide, ecc,), nel tentativo disperato di attenuare il dolore con il quali sono stati costretti a entrare in contatto.
E, a tal proposito, credo che la categoria che sia più a rischio sia rappresentata dalle persone che hanno costruito la propria vita in modo da non entrare mai realmente in contatto con se stesso e con le proprie debolezze, diventando abili esperte nell’evitare le proprie paure e i dolori interiori. E mi riferisco in primis a chi ha l’abitudine a rinviare di affrontare una separazione dal partner, la cui convivenza forzata e rissosa è una consuetudine, o un cambiamento, come quei figli con una latente sindrome dell’abbandono, tale per cui non osano immaginare di poter lasciare il proprio nucleo familiare di origine per mettere su il proprio nido da adulto (andare a convivere con il partner, prendere casa da solo, ecc), o quei professionisti che permangono nella propria apparente confort zone lavorativa, evitando di riconoscere la propria frustrazione, il desiderio di crescere, la necessità di rimettersi in gioco (smettere di accontentarsi di un salario inadeguato, avanzare una candidatura per posizioni lavorative stimolanti, studiare, ecc.). Appartengono a questa categoria fortemente a rischio anche quanti hanno procrastinato il momento di intraprendere un percorso psicologico, e oggi si ritrovano a dover gestire le proprie difficoltà ulteriormente stressate dalla condizione attuale, e chi vive a a un passo dall’iniziativa legale, come quelle donne o uomini vittime di violenza domestica, che adesso si ritrovano costretti a vivere sotto lo stesso tetto del proprio carnefice, con tutti i rischi del caso.
Tra le conseguenze potenziali a cui questi soggetti intrinsecamente evitanti sono esposti si possono ipotizzare lo shopping compulsivo (favorito dalla massiva promozione di acquisti online caratterizzante queste settimane), l’abuso di sostanze, l’alterazione delle condotte alimentari, l’insorgenza di spunti ipocondriaci, l’ossessione per gli aggiornamenti infodemici, gli eccessi comportamentali nell’impiego degli strumenti comunicativi (chattare a dismisura, condividere informazioni di qualunque tipologia sui social, ecc.), tutte con la finalità di distrarre il soggetto evitante da ciò che pensa e che prova.
Non va meglio a chi ha già in corso delle psicopatologie. Non credo sia difficile immaginare verso quale oblio si stanno muovendo tutte quelle persone che soffrono di ritiro sociale perché affetti di un disturbo dell’umore orientato al polo depressivo (rinforzo del sintomo), di ansia (tempi maggiori da dedicare al rimuginio), di fobie legate agli ambienti domestici (esposizione costante alle minacce). Per non parlare poi dei bambini con sindromi importanti che si ritrovano a eseguire terapie forzatamente a distanza, affrontando un distacco dal setting consueto che potrebbe rallentare i benefici della relazione terapeutica, a causa delle barriere virtuali dei mezzi alternativi impiegati per le video consulenze (monitor, telefoni, auricolari).
Ma, come accade nella maggior parte delle circostanze emergenziali, ci si sta focalizzando principalmente sulle vittime più “visibili” della pandemia, i contagiati e i deceduti. Una sensibilità più fragile è, invece, quella rivolta alle loro famiglie, vittime secondarie, nonché agli operatori impegnati nei soccorsi, noti in letteratura come soccorritori di terzo livello. Anche nei confronti delle categorie professionali rimaste a casa, vuoi in Smart Working o in inattività lavorativa, e men che meno per i bambini, a oggi, purtroppo, poco è stato ancora predisposto, in termini di interventi preventivi l’insorgenza di un malessere psicologico.
Prendiamo il caso di chi lavora da casa. Dopo un lungo periodo, alcune tendenze in sordina di quei manager che necessitano di avere un costante feedback potrebbero acuirsi, al punto da portarli ad assumere condotte assillanti nei confronti degli smart workers, i quali, a loro volta, potrebbero sviluppare frustrazione, intolleranza e lassismo, soprattutto se lavoratori demotivati. Chi è obbligato a rimanere a casa ed è inoperante, invece, potrebbe esperire una nuova padronanza del proprio tempo che sentirà venir mente quando il tran della “vecchia” vita quotidiana riprenderà. In entrambe i casi, se ci sono dei bambini in casa, la faccenda si complica ulteriormente, perché purtroppo il nostro sistema cognitivo non è ancora di conciliare contemporaneamente le attenzioni richieste dai più piccoli con quelle necessarie per affrontare professionalmente una conference call o la registrazione di una video lezione, così come non siamo abituati ai compiti scolastici che i nostri figli acquisiscono online.
Una richiesta che mi sta giungendo con grande frequenza in questi giorni riguarda proprio i bambini. Molti genitori sono alle prese con un esaurimento della fantasia e con la difficoltà di gestire il bisogno di nuovi stimoli, tipico dei più piccoli. Urla dietro l’uscio di casa, capricci per andare a dormire, proteste per mangiare, pianto inconsolabile, richiesta protratta di vedere i cartoni animati sono solo alcuni dei sintomi che un bambino può mostrare quando è frustrato dalla situazione in cui versa e non conosce il canale comunicativo adattivo per esprimersi.
Alle mamme e ai papà alle prese con queste dinamiche logoranti, soprattutto ai genitori che vivono in condizioni abitative ridotte e prive di uno spazio all’aperto, mi sento di consigliare di attingere alle risorse più remote di pazienza e tolleranza di cui certamente l’amore li ha dotati, di sfruttare materiali domestici tra i più banali e impensabili, sempre in sicurezza garantita, per favorire l’esplorazione dell’ambiente in cui si trovano, di creare delle categorie di gioco (la cura della persona, con spazzole morbide, spazzolini, spugnette, vecchi pennelli da trucco; l’alimentazione, con stoviglie di plastica, barattolini vuoti, tappi, mattarello, ecc…) e fare in modo che si usi un gioco per volta, in modo da scoraggiare la dispersione attentiva del bambino. Il grande impegno profuso per essere dei buoni genitori e degli educatori amorevoli può ostacolare, però, la disponibilità a essere più flessibili in questi giorni difficili per tutti, poiché la paura di vanificare gli sforzi con cui sono state consolidate le regole della routine che ci siamo momentaneamente lasciati alle spalle irrigidiscono le condotte degli adulti e possono favorire ansia e disperazione. In questi casi, è auspicabile che i genitori si prestino a compensare la deprivazione sensoriale dei più piccoli con l’amore (una coccola in più a letto, un giro nel lettone di mamma e papà, un cioccolatino ogni tanto in più), senza aver paura dello sporco, delle nuove sperimentazioni, dei tentativi propedeutici all’autonomia nel mangiare, lavarsi, vestirsi.
Se è vero, quindi, che la pandemia sta cambiando insolitamente i nostri bambini, anche noi stiamo mutando imprevedibilmente. La maggior parte degli Italiani, per esempio, sta vivendo una inversione di ruoli per cui i figli accudiscono i genitori, affinché non corrano rischi, per esempio andando a fare la spesa, e sostituendosi a loro nelle tipiche frasi ritualistiche (“Non uscire”, “stai attento”). Stiamo conoscendo, inoltre, il sapore nuovo dello svolgere le nostre attività senza frenesia, ad avere il frigo e la dispensa sempre pieni, a telefonare agli amici che sentiamo meno con più frequenza, a interagire sui social con maggiore disponibilità e a renderci utili come meglio possiamo. Ma, senza voler patologizzare l’evento straordinario che stiamo vivendo, di quali strumenti possiamo munirci per proteggerci in maniera efficace dalla minaccia degli effetti psicologici attuali e futuri del Covid-19?
Ecco di seguito i cinque strumenti che considero tra i più leali alleati dell’essere umano, in ogni sua espressione e condizione. La prima strategia che caldeggio fortemente è l’assunzione di consapevolezza, una sorta di panacea a protezione di qualunque forma di minaccia alla salute mentale. Essere consapevoli che trascorrere troppe ore davanti a uno schermo luminoso favorisce il deterioramento della funzionalità dell’occhio potrebbe proteggerci dall’intenzione di esporci ai monitor senza limiti temporali. Avere consapevolezza che il tempo tornerà a essere parcellizzato ci può proteggere dalla credenza che questa situazione non migliorerà mai. Riflettere sulle cause per cui restare a casa è risultato essere così difficile, dalla dubbia credibilità dell’efficacia delle misure politiche adottate alla connotazione negativa che culturalmente ha assunto nel tempo lo stare a casa (gli ammalati, i disoccupati, i reclusi, ecc.), ci potrebbe agevolare nell’accettazione dell’utilità della permanenza tra le mura domestiche. Sapere a quale rischi psicologici siamo esposti, non a caso, ci può offrire un fattore di protezione in più, al fine di poter adottare dei rimedi preventivi.
Altro strumento molto prezioso è l’ancoraggio alla realtà, inteso come l’accettazione di ciò che si sta provando, in termini di sentimenti quali la paura, lo sconforto, la noia, la sfiducia, e di sofferenza cognitiva, manifesta attraverso intense preoccupazione, pensieri ripetitivi, credenze negative. Darsi la possibilità di restare nell’hic et nunc, può favorire l’esplorazione di risorse che di solito lasciamo inespresse, come per esempio la solidarietà di cui siamo capaci e la capacità di intraprendere iniziative a sostegno del senso di appartenenza alla propria comunità con cui si condivide il disagio. Ben vengano quindi i nostri balconi trasformati in palcoscenici canori e le sarte improvvisate che confezionano mascherine in stoffa.
Una terza indispensabile strategia che consiglio vivamente è il ricorso alla flessibilità e all’adattabilità. Per esempio, offrirsi la possibilità di sperimentare nuovi rituali per commemorare un lutto, per salutare a distanza qualcuno che ci ha lasciato, al fine di attenuare l’insofferenza derivante anche dalla mancata adesione alle tradizionali modalità socialmente riconosciute per dire addio alle persone care, può contenere il rischio di una elaborazione disfunzionale dell’esperienza di perdita.
Un’altra risorsa preziosa è l’operosità, ovvero quella solerzia che mantiene vigorose le nostre abilità consolidate. Con questo suggerimento, infatti, indico tutti i comportamenti che ci rendono proattivi, sul piano cognitivo (mantenere allenata la mente, per esempio, leggendo), emotivo (per esempio, sfogliando vecchi album di fotografie o scrollando le gallery multimediali), e comportamentali (per esempio, allenarsi attraverso sport alternativi come la ginnastica in soggiorno davanti a un video tutorial, fare pizza in casa, ecc.).
Ultima, ma non meno importante, è la condivisione, intesa come l’apertura all’altro per esprimere se stesso (esternare i propri pensieri e le proprie emozioni) e rendere disponibile tutto ciò che di “sospeso” sta nascendo, dalla spesa alla seduta psicologica, che personalmente metto a anche io a beneficio di chiunque senta il bisogno di consultarmi per avere conforto, sostegno, suggerimenti.
Voglio concludere con una nota ottimistica e un messaggio di fiducia verso il genere umano. Traendo spunto dalla provenienza asiatica del Corona virus, io dico che se inconsapevolmente abbiamo subito un danno, possiamo anche trarre un vantaggio dagli stessi orientali, adottando l’essenza del loro concetto di cambiamento, inteso come opportunità per stare meglio. Così, come faccio io nella mia pagina social, in cui ogni giorno pubblico una lesson learned (una lezione appresa), utile a me e ai miei followers, per rendere questo triste momento un’occasione di apprendimento e di crescita personale, invito tutti a ritagliarsi un momento di serenità per assumere la consapevolezza delle proprie lezioni personali apprese quotidianamente e condividerle con chi si ama.